Questo Santo italiano visse nella seconda metà del '500, cioè in un'epoca in cui le forze migliori della Chiesa si raccolsero attorno ai nuovi ordini religiosi che costituirono la punta di diamante della Controriforma.
Abbiamo detto ordini religiosi, ma meglio avremmo dovuto dire congregazioni. Congregazioni come quelle dei Filippini, dei Barnabiti, dei Somaschi, dei Teatini, dei Camillini; o Compagnie, di carattere quasi militaresco, come la Compagnia di Gesù.
Andrea Avellino non fu uno dei fondatori, ne si può dire personaggio di primo piano. Fu però una delle glorie dell'Ordine dei Teatini fondato da San Gaetano Thiene e da Gian Pietro Carafa, e nel quale Andrea Avellino entrò quasi per caso.
Di famiglia signorile, ebbe il nome di Lancellotto, portato da un innamorato eroe della « Tavola rotonda ». Ma il giovane Avellino mostrò presto di avere inclinazioni ben diverse da quelle romanzesche e cavalleresche.
Studiò assiduamente, prese gli ordini religiosi, seguì a Napoli gli studi di diritto (non per nulla è uno dei patroni degli avvocati!), diventò sacerdote a ventiquattro anni, senza appagarsi però dell'abito clericale, e magari di una congrua prebenda. Un corso di esercizi spirituali predicati da un gesuita costituì per lui una vera seconda conversione.
Incaricato, a Napoli, di riordinare e riformare un ordine religioso monastico decaduto e trascurato, svolse quel compito con tale sacro zelo da attirarsi l'odio feroce dei monaci meno scrupolosi. Fu persino aggredito, diverse volte, da sicari assoldati da un religioso poco amante dello zelo apostolico.
Una volta, lasciato in fin di vita dall'aggressore, Andrea Avellino venne raccolto morente dai Padri Teatini, e curato presso la chiesa di San Paolo Maggiore. Contro tutte le aspettative, il giovane sopravvisse, e, ristabilitosi completamente dalle ferite, volle entrare nella congregazione dei suoi benefattori, mutando il nome da Lancellotto in Andrea.
Compì il suo tirocinio tra i Teatini assistendo per nove mesi, fino alla morte, un vecchio padre paralitico e rimbambito. Lo fece con una premura che si potrebbe ben dire materna, dopodiché ebbe l'incarico di direttore spirituale dei più giovani. Diventato superiore della Congregazione, istituì corsi di filosofia e di teologia. Voleva i suoi Teatini colti, ma soprattutto caritatevoli. I loro principali compiti esterni dovevano essere l'assistenza ai bisognosi e la cura degli infermi. Quelli interni erano, naturalmente, la preghiera e la penitenza.
Vicario a Milano, fu assai caro al Santo Arcivescovo Carlo Borromeo. Ebbe incarichi importanti e delicati in seno all'Ordine, lui che avrebbe aspirato, più che a cariche di governo, ad una vita interamente contemplativa.
Tornato a Napoli, assisté con assoluta dedizione la popolazione durante una carestia. Rifiutò un Vescovado, per restare vicino al popolo e servire il suo Ordine. Mori vecchissimo, nel 1608, dopo una vigorosa senilità. Cadde ai piedi dell'altare, all'inizio della Messa, e il popolo di Napoli, subito accorso, fu il primo a chiamarlo Santo.