Antonino arcivescovo di Firenze - Immaginette Sacre

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Antonino arcivescovo di Firenze

Immagini di Santi
LocalitàProvinciaFesta


2 Maggio
Α

Ω
Firenze 1389
B A C KMontuchi 2 maggio 1459
Canonizzato il 31 Maggio 1523 da Adriano VI
Martirologio Romano
A Firenze, sant’Antonino, vescovo, che, dopo essersi adoperato per la riforma dell’Ordine dei Predicatori, si impegnò in una vigile cura pastorale, rifulgendo per santità, rigore e bontà di dottrina.
Tutti conoscono, o di fama o di vista, il fiorentino convento di San Marco, dove si ammirano i più stupendi e spirituali affreschi del Beato Angelico. Ma non tutti sanno che il Beato Angelico, in San Marco, dipingeva per ordine e sotto la direzione del Priore del Convento, e che questo Priore era un Santo, Antonino Pierozzi, detto poi da Firenze.

Piccolo e macilento, da bambino s'era presentato al grande e forte Beato Giovanni Dominici, il quale lo aveva giudicato inadatto alla dura vita del chiostro. « Torna un altro anno ‑ gli disse ‑ e intanto impara tutte le Decretali ». Antonino, che era figlio di un notaio, l'anno dopo si presentò di nuovo al Beato Dominici, recitandogli a memoria tutti gli articoli (ed eran migliaia!) di quel Codice legislativo.

Accolto nell'Ordine, divenne Priore di San Marco, e fu lui che affidò al Beato Angelico il delicato compito di decorare pittoricamente il convento. Terminata l'opera, il Beato Angelico venne chiamato a Roma dal Papa, che spesso lo visitava durante il lavoro. Un giorno il frate pittore notò sul volto del Papa un'ombra di preoccupazione. Gliene domandò la ragione: « E' per la tua città ‑ rispose il Papa ‑. La sede arcivescovile di Firenze è vacante, e nonostante le premure di Cosimo de' Medici, sono molto incerto sulla scelta del nuovo pastore ». « A Firenze c'è frate Antonino ‑ avrebbe risposto il Beato Angelico ­Eleggete lui Arcivescovo, e le anime dei miei concittadini saranno in buone mani ». Quando Antonino seppe della sua nomina, fuggì in Maremma. Fu ricondotto a forza in città, dove volle entrare a piedi nudi, in segno di umiltà.

Cominciò così un nuovo periodo della sua vita, nella quale si guadagnò il titolo di « Antonino dei consigli », perché tutti si rivolgevano a lui, per consigli religiosi, consigli morali, ed anche consigli pratici, di economia e di finanza. Firenze era città mercantile e il fiorino veniva considerato la moneta più preziosa del mondo. Nasceva il credito bancario, ed era necessario distinguere quello che era legittimo interesse da quella che era vera e propria usura.

Cosimo de' Medici, coi suoi clienti, cercava d'impadronirsi della città, minando le Costituzioni repubblicane. Si trovò contro l'Arcivescovo, il quale, pur essendogli privatamente amico, non poteva permettergli certe manovre contro la libertà cittadina.

Cosimo, per esempio, avrebbe voluto che le deliberazioni, in Palazzo Vecchio, non fossero prese in segreto, gettando nel bossolo le fave bianche o nere, ma palesemente. Voleva cioè sapere chi gli era favorevole o contrario. I consiglieri della Repubblica, intimoriti dalle sue possibili vendette, non sarebbero così stati più liberi dei loro voti. Sant'Antonino scomunicò coloro che avessero accettato il sistema voluto da Cosimo. Le votazioni dovevano essere segrete, come era scritto nelle Costituzioni repubblicane. Né Antonino si intimorì quando, una notte, i fedeli di Cosimo minacciarono l'Arcivescovo, facendogli capire che lo avrebbero fatto deporre da Roma, e addirittura che la sua vita era in pericolo. La mattina dopo, con le proprie mani, Antonino affisse alle porte di Santa Maria del Fiore un nuovo decreto di scomunica contro chi attentava alla libertà dei cittadini.

E di tutto il popolo, la parte che egli prediligeva era quella dei poveri lavoratori, sfruttati dalla nascente industria. Come moralista rigettò la teoria che il lavoro fosse qualcosa da vendere e da comprare. Il lavoro non era una merce. Il lavoro era un diritto e faceva parte della dignità dell'uomo. Per questo, chi lavorava aveva diritto alla vita, non solo per sé, ma per la famiglia.

Non era dottrina sua. Era la dottrina sociale della Chiesa, nella quale egli, come Arcivescovo, si sentiva maestro. Un maestro nè superbo né presuntuoso, ma, al contrario, umile, arguto, sempre con un sottile sorriso sulle labbra fini e una scintilla d'ironia negli occhi socchiusi.

Nelle ore antelucane scriveva in latino le sue opere dottrinali, che fecero testo per secoli e secoli. Scriveva i suoi trattati morali, come l'Opera a ben vivere, in una lingua italiana deliziosamente fresca e vivace. Scriveva le sue lettere a donne del mondo o a monache recluse, con una delicatezza e un'arguzia incantevoli. Poi, sopra una muletta, prestatagli dall'Ospedalingo di Santa Maria Nuova, faceva le sue visite nelle parrocchie della diocesi; severissimo coi sacerdoti poco zelanti.

Per i poveri vergognosi fondò la Confraternita di « San Martino dei Bisognosi », che dopo cinquecento anni vive ancora ed è ancora benefica, perché le opere buone non si spengono mai quando siano accese dalla saggezza di un pastore giusto e dalla carità di un Santo cristiano.



 
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