Ignazio di Loyola - Immaginette Sacre

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Ignazio di Loyola

Immagini di Santi
LocalitàProvinciaFesta
RomaRoma31 Luglio
Α

Ω
Loyola (Spagna) 23 ottobre 1491
B A C KRoma 31 luglio 1556
Canonizzato il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV
Reliquie del Santo - Roma - Chiesa di San Rocco all'Augusteo - Chiesa dei SS Andrea e Gregorio al Celio
Martirologio Romano
Memoria di sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.
Il nuovo Calendario segna come obbligatoria per l'intera Chiesa la memoria di un gigante della fede, una di quelle figure che hanno inciso profondamente non solo nella storia religiosa, ma anche in quella civile e culturale. Iñigo, latinamente Ignazio, era nato nel 1491 in un castelletto della Basca, che aveva per stemma due lupi intorno a una pentola. Lobo y olla », lupo e pentola, e da qui il nome nobiliare dei Loyola.
Come ultimo dei figli, Iñigo fu destinato, d'autorità, al sacerdozio. A 14 anni ricevette perciò la tonsura. Ma l'ultimo rampollo dei Loyola non mostrava nessuna inclinazione per la vita religiosa. Si fece ricrescere i capelli, indossò abiti d'elegante fattura e di vivaci colori; fu paggio, avido di romanzi cavallereschi e d'amore; ufficiale brillante e galante; combattente valorosissimo, fino a che, nella guerra fra Carlo V e Francesco 1, durante l'assedio della città di Pamplona, ch'egli difese quasi da solo con indomabile coraggio, non ebbe la gamba stroncata da un colpo di falconetto.
Ferito, lasciò la città, mentre i francesi gli rendevano gli onori militari e sopra la barella rientrò nel suo castello. La convalescenza fu dolorosa, lunga, e più che altro noiosa, in quel severo castello basco, dove il giovane ufficiale non trovava nemmeno un romanzo cavalleresco da leggere. La cognata finalmente scovò, dentro una cassapanca, due vecchi libri: una Vita di Gesù e un Leggendario di Santi.
Iñigo, in mancanza di meglio, s'adattò a quella lettura, che a un tratto gli illuminò la mente e l'anima. Il giovane eroe di Pamplona capì che, al confronto con le gesta degli atleti di Cristo, quelle dei cavalieri erano avventure di nessun conto. Quando si alzò dal letto, leggermente claudicante, l'ufficiale spagnuolo aveva ceduto il posto al milite della Chiesa.
Cominciò col rendere omaggio alla più umile ed alta delle creature, alla Madonna di Monserrat, ai cui piedi lasciò i vestiti di cavaliere e le proprie armi. Errò lungamente, in cerca della propria vocazione. Penitente a Mauresa, pellegrino in Terrasanta, mendicante in Italia, sorridente e simpatico, suscitando ovunque e in chiunque, benevolenza e ammirazione. Fino a che, ritornato in patria, capì che doveva approfondire la propria cultura religiosa e ritornò, umilmente, sui banchi di scuola, a Barcellona, ad Alcalà e finalmente a Parigi, dove si laureò, diventando il « magister Ignatius ».
A Roma ebbe l'idea, non di una nuova congregazione, ma di una « compagnia », la Compagnia di Gesù, per difendere la Chiesa dall'eresia, come egli aveva difeso la città di Pamplona dagli assedianti. Dettò ai suoi confratelli i famosi « Esercizi Spirituali », che dovevano formare interiormente i nuovi soldati di Gesù. Al di fuori, il maestro Ignazio, generale della Compagnia di Gesù, si presentava sempre con la sua incantevole semplicità, la sua benevola comprensione, suscitando confidenza e simpatia.
Era « lo spagnoletto piccoletto, zoppetto, sempre sorridente », che però, per primo, si sottoponeva senza riserve alla disciplina della Compagnia, già formata sotto di lui, anzi già potente per il rigore morale, la sicurezza dottrinale, la fedeltà assoluta, costante, profondissima, alla Chiesa e al Papa.
Per sé, il maestro Ignazio non chiedeva nulla: né onori né riconoscimenti, né riposo né ricompense. Non pensava che ai figli, che, lontano da lui, lottavano tra patimenti e disagi, pel trionfo della Chiesa, missionari e apostoli. « Li amo tanto   diceva   che vorrei sapere il numero delle pulci che li divorano ».
Un giorno, alla fine del luglio 1556, sotto la canicola romana, si sentì male. Capì che la morte era vicina. Seguì la disciplina della vita comune, andando al refettorio. Pregò soltanto il segretario di chiedere al Santo Padre la benedizione « in articulo mortis ». Il segretario, indaffarato, gli rispose che vi si sarebbe recato il giorno dopo.
Nella notte l'udirono che mormorava: « Ah, Dio mio ». La mattina lo trovarono in agonia. Spirò senza aver ricevuto la benedizione papale, obbediente alla morte, come aveva voluto sempre che i suoi soldati fossero obbedienti nella vita, pronti a qualsiasi sacrificio, ad maiorem Del gloriam, per la più grande gloria di Dio, secondo il motto che ancor vige nella Compagnia di Gesù.


 
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