Non erano passati cento anni dalla morte di San Lupo, che il Re di Francia poteva dire con poca devozione e molto dispetto: « Ecco, il nostro tesoro è vuoto, la nostra ricchezza è passata alla Chiesa. Non c'è più Re, ma soltanto i Vescovi sono sovrani nelle loro diocesi. L'onore delle nostre corone, è passato alle mitre; il pastorale vale più dello Scettro». Colpa, o meglio merito di quei Pastori, che specialmente dinanzi alle invasioni barbariche, non abbandonarono i loro greggi.
E qui verrebbe voglia di giocare appunto sul nome d'un Vescovo che fu chiamato « il precursore dei grandi Vescovi del Medioevo », San Lupo, ottavo vescovo francese di Troyes. Era nato a Toul, di nobile famiglia, e fu monaco nell'abbazia di Lérins.
La cosa più strana è che poco tempo dopo, egli venne chiamato a raccogliere la successione del Vescovo di Troyes, il quale aveva anch'egli un nome animalesco: Orso.
E se l'Orso era stato un buon pastore, il Lupo fu anche migliore, e seppe difendere il gregge meglio di un cane da pastore.
Tra l'altro, ebbe il coraggio di affrontare Attila, il flagello di Dio, il quale ritirandosi da Troyes, si portò dietro, come ostaggio, il Vescovo Lupo. Attila non doveva essere poi privo di qualsiasi luce, se concepì per l'uomo di Dio rispetto ed ammirazione. Pare che, rimandandolo nella propria diocesi, si raccomandasse alle sue preghiere.
Ed era così che i Vescovi di quel tempo, fossero Orsi o Lupi o Galli, si conquistavano la fiducia dei popoli: sostituendosi nei momenti più terribili, all'autorità civile travolta dalla marea barbarica.
Le parole del Re di Francia, che abbiamo riportate, non erano dunque di rimprovero verso quella che si potrebbe ritenere invadenza ecclesiastica; constatavano un fatto storico.
Quando il Vescovo Lupo mori, nel 479, la popolazione di Troyes lo proclamò Santo, non solo per le sue virtù religiose, ma soprattutto per i suoi meriti civili di capo città, capopopolo, pastore fedelissimo e generoso del gregge, nonostante il nome di Lupo.