Nel vedere una pecora da poco tosata, il Vescovo di Tours disse una volta: « Essa ha compiuto il precetto del Vangelo: aveva due tuniche, e ne ha donata una a chi non ne aveva. E così che dovete fare anche voi ».
Ed è così che aveva fatto anche lui, in gioventù, quando, cavaliere della guardia imperiale, aveva incontrato un povero, tremante di freddo.
Non avendo due mantelli, aveva tagliato in due, con la spada, quello che indossava, donandone la metà al povero. In sogno, vide Gesù avvolto in quel mezzo mantello, che gli sorrideva riconoscente.
L’episodio notissimo è diventato il gesto simbolico di San Martino, la cui storia, però, non si limita a quello. La molto più lunga e complessa, ed è storia non leggenda.
Martino era nato nella provincia romana della Pannonia, l'odierna Ungheria. Molto probabilmente il padre era un tribuno militare, che fu poi di guarnigione a Pavia, dove Martino passò la fanciullezza. Si arruolò anch'egli, nella Guardia Imperiale, e fu in questo tempo che, ad Amiens, avvenne l’episodio del mantello dimezzato.
E questo perché Martino era cavaliere romano, ma cristiano. Aveva per attendente uno schiavo, al quale però puliva i calzarí, e che trattava come un fratello. Questo gesto è forse più significativo di quello del mantello, perché indica le disposizioni d'animo dei cristiani del tempo.
Terminato il servizio militare, venne ordinato esorcista. Tornò in Pannonia, e convertì la madre. Combatté gli Ariani e fu cacciato da Milano. Si rifugiò in Liguria e finalmente tornò a Poitiers, dove poté darsi alla vita contemplativa, nel celebre monastero di Ligugé.
Quando la città di Tours restò senza Vescovo, sì pensò a lui, mandandolo a chiamare con la scusa di guarire un malato. Invece di un malato, trovò una diocesi bisognosa delle sue cure, e nel 370 venne consacrato Vescovo di Tours. Di lui si poté perciò dire: « Soldato per forza, Vescovo per dovere, monaco per sceIta ».
Egli si era scelto la vita monastica, ma il dovere lo chiamò sopra una cattedra vescovile. E come Vescovo, iniziò la sua grande opera di conversione dei Galli, di assistenza presso le popolazioni della Francia, di pacificazione tra Ariani e ortodossi, e dì resistenza contro i poteri civili, che volevano intromettersi nelle questioni ecclesiastiche.
Fu un formidabile lottatore, un instancabile missionario, un grandissimo Vescovo, sempre vicino ai bisognosi e ai perseguitati. Disprezzato dai nobili, irriso dai fatui, malvisto anche da una parte del clero, che trovava il Vescovo troppo esigente, egli resse la diocesi di Tours per 27 anni, in mezzo a contrasti e persecuzioni.
Falsamente accusato da un suo prete, di nome Brizio, diceva: « Se Cristo ha sopportato Giuda, perché non dovrei sopportare Brizio? ». Stremato di forze, ammalato, pregava: « Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non mi rifiuto dì soffrire. Altrimenti, venga la morte ». E per morire, nel 397, a Candes, si sdraiò sulla cenere, cinto da un cilicio, ricusando ogni altra copertura. « Un cristiano non deve morire in altra maniera », disse ai suoi monaci.
La sua fama di santità fu enorme, soprattutto in Francia, dove fu invocato come primo Patrono del paese. Sembrò addirittura personaggio da leggenda, mentre apparteneva tutto e soltanto alla storia: la storia meravigliosa e faticosa di uno dei più grandi Vescovi di tutti i tempi.