Oggi è la festa della Natività di Maria, e in questo giorno affettuosamente caro alla devozione cristiana, non vogliamo dimenticare un personaggio di sbalzatissimo rilievo nella storia della santità, per non dire, più compiutamente, nella storia della civiltà.
Alludiamo a San Pietro Claver, apostolo degli schiavi, o meglio, come è stato detto, « schiavo dei negri ».
Nato in Spagna nel 1580, allievo dei Gesuiti a Barcellona, poi accolto egli stesso nella Compagnia di Gesù, Pietro Claver si preparò al sacerdozio nel convento di Maiorca, dove ebbe per compagno e ispiratore un altro Santo, Alfonso Rodriguez.
Non brillante per doti intellettuali, il suo zelo apostolico fece prevedere in lui un ottimo predicatore per gli « Indiani », cioè per gli indigeni americani, umiliati dai conquistatori europei sfruttati dal nascente colonialismo.
Ma per i Gesuiti, non solo per quelli di Maiorca, gli indiani erano qualcosa di più che bestie da lavoro e magari da macello. Alfonso Rodriguez diceva: « Le anime degli schiavi hanno un valore infinito, il valore del sangue di Gesù, mentre le ricchezze delle Indie non valgono niente ».
A questi insegnamenti si maturò la vocazione di Pietro Claver, il quale, non ancora sacerdote, chiese di imbarcarsi per l'America centrale. iniziò ,a sua opera già a bordo della nave, poi, sbarcato in Colombia, salì a Bogotà per completarvi gli studi di teologia.
Ordinato sacerdote, poté dedicarsi con tutta l'anima all'opera di apostolato, nel grande porto atlantico di Cartagèna, dal clima caldissimo, Ma ormai i più bisognosi di assistenza non erano più gli indiani. Era cominciata la tratta dei negri, e Cartagena era il maggior porto di smistamento degli infelici schiavi, razziati dai paesi dell'Africa.
San Pietro Claver vi lavorò per quasi quarant'anni, in condizioni di incredibile disagio. Ai voti della Compagnia, ne aveva aggiunto uno speciale: quello di dedicare tutta la sua vita alla conversione dei negri. Si firmava: Pietro Claver, sempre schiavo dei negri.
Saliva a bordo delle navi negriere insieme con le autorità mediche, portando le prime cure agli infelici. Nelle stive ributtanti per lezzo e promiscuità. dove nessun europeo era mai sceso, si tratteneva per ore inginocchiato presso i morenti, abbracciato agli infermi, a tutti di aiuto.
Anche dopo lo sbarco si preoccupava dei suoi « padroni », assistendoli prima materialmente, poi spiritualmente. Li sfamava e li curava, e dopo la vendita convinceva i proprietari ad essere più umani.
Morì nel 1654, sul campo delle sue fatiche. Aveva portato alla fede centinaia di migliaia di schiavi, e soprattutto aveva reso assai men dure le loro condizioni di vita, riscattando almeno in parte la vergogna dello schiavismo.